Il crowdfunding, che letteralmente significa finanziamento collettivo, è un fenomeno che nasce in Australia e negli Stati Uniti, e prevede la collaborazione di un gruppo di persone che investono il proprio denaro per sostenere una causa, un’organizzazione o una startup.
Le parti del crowdfunding sono sostanzialmente due: il promotore della raccolta (che può avere carattere economico, culturale, sociale o benefico), e il pubblico (crowd).
Il progetto (funding) di raccolta si sviluppa sul web, attraverso un sito, una landing page, una piattaforma, un canale social.
Le campagne di crowdfunding si distinguono in 4 tipologie in base alle finalità della raccolta o in base alla ricompensa prevista per i finanziatori. Nello specifico abbiamo:
Per muoversi secondo regolamentazione ci si affida alle piattaforme di crowdfunding per lanciare le proprie campagne, anche per godere della credibilità dell’una o dell’altra piattaforma; le piattaforme sono una vetrina dove presentare i propri progetti, il che facilita la raccolta dei fondi.
Nel nostro Paese esistono ben 82 piattaforme censite per finanziare i progetti, di cui 13 ancora in fase di lancio e 69 già attive. In Italia il mercato di riferimento è prettamente di tipo nazionale con una percentuale del 73%, quello locale riguarda invece il 14% e quello internazionale il 12%.
Per la nostra campagna Education Revolution ci siamo affidati alla piattaforma CrowdFundMe.it, il primo portale di equità crowdfunding quotato in borsa italiana, e abbiamo scelto la modalità equity based, mettendo in vendita il 15% delle quote di Social Academy: basta un investimento di 250 € per far parte della nostra realtà.
Una campagna di crowdfunding generalmente ha un obiettivo da raggiungere e una data entro il quale si concluderà la campagna (ad esempio il nostro obiettivo sono 100.000 € e la scadenza il 3 agosto). La campagna a quel punto può entrare in overfunding: i capitali raccolti superano l’obiettivo minimo prestabilito e la società protagonista della campagna decide di continuare a raccogliere ulteriori fondi.
In tal caso la società si appresta a cedere maggiore equity; pertanto l’investitore riceverà una quota di equity in percentuale ridotta ma sarà al contempo titolare di quote di un business con valore più alto.
Qualora invece entro la data di chiusura della campagna non venisse raggiunto l’obiettivo, nessuna cifra verrà versata sul conto destinatario della raccolta fondi: tutti i capitali sino ad allora accumulati vengono riaccreditati sui conti correnti di provenienza di ciascun investitore. Quindi, il denaro investito, viene reso all’investitore. L’attenzione maggiore è sempre verso l’investitore.
La maggior parte delle piattaforme non è gratuita per chi avvia le campagne: alcune infatti trattengono una percentuale del capitale raccolto, altre sono gratuite e si finanziano mediante donazioni spontanee che i promotori vorranno offrire. Ovviamente chi investe non paga il servizio, che è a carico della piattaforma stessa o del promotore della campagna.
Investire, oggi, è diventato un po’ ostico: non è facile trovare un investimento che coniughi un basso rischio economico con una papabile buona resa. Infatti investire in banca o in titoli di stato, sperando di ricavarci qualcosa, è quasi utopia in quanto, banche in primis, tengono per sé i prodotti con un buon margine di crescita, senza contare le spese che l’acquisto di azioni comporta.
Quindi, agli investitori che vogliono vedere fruttare i propri risparmi, si affaccia la nuova possibilità di investire nelle startup, in un sistema che come abbiamo visto in Italia è affidabile e regolamentato (siamo stati il primo Paese a muoverci in tal senso).
Dopo che ci si è accertati della serietà dell’investimento, nonché dell’affidabilità della piattaforma che ospita la campagna, fare un investimento di tipo equity based per acquistare le quote di una startup e diventarne così soci può rivelarsi una mossa vincente per vedere aumentare le proprie entrate.
Per chi investe in nuove imprese e pmi innovative, inoltre, lo Stato prevede delle agevolazioni e delle detrazioni: al momento viene infatti scontato il 30% dell’investimento dalle tasse, e la nuova legge di bilancio vedrà ulteriormente aumentare i benefici fiscali, che saliranno al 40%.
Certo, investire in start up porta con sé dei rischi, per questo è sempre preferibile puntare su un business che quantomeno ha già mosso i primi passi nel suo settore.
I primissimi investimenti a favore di una startup neonata non hanno la possibilità di essere incoraggiati da dati presentati, da una storia raccontata, da cifre condivise. Per cui ci si può affidare solo al proprio “fiuto per gli affari” decidendo di investire e diventando business angel di una realtà sulla quale vogliamo puntare.
Social Academy, alla fine del 2016, è nata proprio così: grazie ad un primo investimento di 510.000 euro dei fondi Lazio Innova SpA ed LVenture Group SpA e di alcuni business angel.
Oggi ci siamo “allargati”: non solo il Marketplace, che ad oggi conta più di 500 School e Trainer, oltre 500 corsi venduti a privati e aziende e una community di oltre 70.000 utenti (che hanno ricevuto un orientamento professionale attraverso i nostri Skillgame, il Magazine sulle professioni del futuro e il supporto dei nostri Career Coach), ma anche la piattaforma “Business in Cloud”, che sta crescendo del 40% nei ricavi tra un trimestre e l’altro.
Nel 2014 il mercato italiano ha visto la nascita di appena 4 campagne di equity crowdfunding: oggi i numeri si sono decuplicati (114 campagne nel 2018), e nel 2018 si sono raccolti 36 milioni di euro (valore triplicato rispetto al 2017), segno che per gli italiani entrare nel capitale sociale delle startup, con somme non necessariamente elevate e partecipando ad una raccolta fondi online, si sta trasformando in un’alternativa per la diversificazione degli investimenti privati.
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